O Thiasos Teatro Natura

othiasos_teatronatura_bellezza_sistabramini

L’esperienza della bellezza nel TeatroNatura | di Sista Bramini | in "Riflessioni Sistemiche"

"O Thiasos TeatroNatura, immerge il suo teatro in luoghi naturali dove la presenza umana è marginale rispetto a quella di altri viventi. Agire senza il supporto di dispositivi tecnologici ma solo attraverso tecniche incarnate quali il canto, la danza, il racconto orale, l’azione teatrale, comporta già una scelta estetica orientata ad affinare una certa sensibilità e a sviluppare una particolare ricerca di bellezza."

E’ stato mettendo in scena il primo spettacolo di Teatro Natura, Aspettando Godot  di Samuel Beckett (quando ancora non avevo individuato il mito antico come strumento drammaturgico della ricerca), che ho compreso qualcosa che è poi diventato centrale nella nostra ricerca: grazie anche alle impressioni degli spettatori di cui ero avida, ho compreso che assistere sotto un grande albero ad una scena performativa, in cui chi agisce sa di stare sotto quell'albero e ne percepisce la presenza, significa anche assistere alle continue relazioni che le performer intessono con quell'albero: rapporti spaziali di movimento, di suoni e significati studiati, previsti cioè nella loro partitura scenica, ma anche relazioni non consapevoli o né teatralmente esplicite.  In uno spettacolo senza microfoni, luci o palchi, in cui i silenzi beckettiani lasciano lo spazio alle incursioni acustiche dello stormire delle foglie al passare del vento tra i rami, del canto degli uccelli e del loro improvviso tacere, la presenza di quella quercia si fa concreta e comincia a dialogare con lo svolgersi della vicenda drammatica, un dialogo che la mente (i neuroni specchio) di chi assiste , ora divenuta estetica cioè poetica, impara a percepire come pertinente al dramma in atto. Naturalmente senza una competenza attoriale queste relazioni possono non essere colte o risultare addirittura un disturbo. Quando però lo spettacolo funziona può accadere che il pubblico cominci a vedere quell’albero in modo non ordinario. Le foglie mosse dal vento, gli uccelli che si posano sui suoi rami e improvvisamente cantano proprio in quel momento del dramma, la luce che filtra tra le fronde, trascolora e si sposta inserendosi nel ritmo della vicenda teatrale, illuminando con modulata intensità ora le attrici e i personaggi che incarnano, ora i diversi dettagli del luogo… : tutto ciò può aprire in chi assiste una visione poetica,  in cui, senza l’uso di alcun “effetto speciale”, si ritrova ad essere parte di un quadro vivente: quell’albero cessa allora di essere un generico albero, un oggetto etichettato dal cervello, ma si rivela un soggetto, anche solo  per alcuni attimi, meraviglioso: un vivente misterioso, ondeggiante nel vento e nella luce, fatto della sostanza di tutto ciò che anima il paesaggio intorno, di cui i/le performer e il pubblico stesso sono parte.

Non è facile scrivere e ancor più riflettere sull’aspetto percettivo, e in particolare dell’esperienza della bellezza, in O Thiasos TeatroNatura, il progetto teatrale a cui mi dedico da trent’anni e che vivo come un processo che si precisa, si trasforma e continua ad evolvere. Ogni descrizione infatti, e ancor più ogni concettualizzazione, ci allontana dall’esperienza diretta e in particolare dall’esperienza percettiva della bellezza che, per sua natura, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, è di fatto una sospensione del linguaggio discorsivo della mente, persino del pensiero stesso. Ed è dovuta a una sorta di misterioso stupore che il pensiero poi, in base ai suoi costrutti culturali, basandosi sul ricordo dell’esperienza stessa, spera di ricostruire per riviverla e condividerla. Spesso questo racconto finisce per sostituirsi al ricordo dell’esperienza stessa, per sua natura intraducibile. L’animale umano però ne tenta continuamente la traduzione attraverso un linguaggio che fatalmente è anche un tradimento. In particolare il linguaggio scritto ricostruisce l’esperienza scorporandola e descrivendola analiticamente in elementi separati. Ma ogni esperienza è una percezione sensoriale estremamente complessa: vi si s’intreccia una moltitudine di diverse relazioni solo in piccola parte consapevoli, e che vivono tutte in un tempo differente dalla linearità del linguaggio verbale orale o scritto. È una dimensione percepita come unica e irripetibile, eppure gravida della risonanza di esperienze passate e di presentimenti.

Nel caso dell’esperienza della bellezza questo tempo di meraviglia è caratterizzato da una speciale fragranza. Attraverso la pratica del TeatroNatura ho compreso che l’esperienza del mondo e quella della bellezza del mondo sono la stessa cosa, in quanto è la bellezza la sostanza che sostiene la possibilità dell’esperienza stessa. Ma (forse per altre culture è diverso) è comunque difficile reggere l’esperienza della bellezza del mondo anche se è ciò che maggiormente ci avvicina alla gioia. In modo chiaro e frequente, quest’incapacità di restare nella meraviglia si manifesta nel commento verbale immediato (Guarda che bel tramonto!) e nel giudizio che etichetta, che ogni volta di fatto interrompe e spegne in noi quell’incantata sospensione del pensiero proprio nel momento in cui la comunica e proprio perché la de-finisce. Nel caso della poesia questo tradimento è percepito come felice (nel senso che i classici danno a questa parola e cioè fecondo) perché in essa vengono attivati quegli slittamenti di senso, quelle metafore e quei rivolgimenti del linguaggio stesso che alludono e ci ricordano appunto l’indicibile sinestesia e ineffabile complessità dell’esperienza stessa. Per questo la meraviglia di fronte alla bellezza del mondo è muta, in noi come negli altri animali, e si esprime come un intenso piacere di vicinanza alle cose, una specie di quiete gioiosa. Mi sono convinta che gli animali sono silenziosi perché immersi la maggior parte del loro tempo in questa quiete viva e così lo sono gli alberi, le pietre, il fuoco, il cielo… Quando riusciamo per qualche istante a entrare in quel silenzio ci ritroviamo nella stessa dimensione di tutti i viventi. Forse la vera iniziazione è apprendere la libertà di poter entrare e sostare sempre più a lungo nella profondità e vastità di questa meraviglia. Ogni forma d’arte, come ogni pratica spirituale, si ingegna su come accedere a questo spazio fatto essenzialmente di presenza. Per questo, ad esempio, a teatro gli spettatori, eredi inconsapevoli degli iniziandi, sono muti. La vita ordinaria è continuamente in fuga da quel vitale spazio silenzioso." 

Continua a leggere l'articolo completo: https://www.aiems.eu/pubblicazioni/rs_collezione/rs31/rs31_02_bramini

Fotografia di Manuela Cannone da Sacro Fuoco, Formazione al TeatroNatura®, luglio 2024

Website by Digitest.net