Teatri altri. Dallo spazio al paesaggio della scena italiana | di Rosseglia Mazzaglia edita per Cue Press
«Dal secondo Novecento le arti performative hanno messo in crisi l'approccio antropocentrico del teatro occidentale. Abitando siti urbani, rurali e selvatici e mescolandosi con la vita dei luoghi, coreografi e registi hanno definitivamente immerso i processi creativi nella trama delle relazioni sociali e ambientali, rinunciando all'autonomia estetica dell'opera d'arte. Questo volume ne recupera le prassi con particolare riferimento alla scena italiana, e ridefinisce le nozioni di spazio, luogo, sito e paesaggio, andando oltre la visione moderna degli studi teatrali.»
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«La tradizione del teatro fisico incontra l'afflato pedagogico che attraversa il Movimento di Cooperazione educativa nel teatro in natura. La volontà di rinnovare la creatività individuale nel sociale che aveva dato linfa all'animazione teatrale nei primi anni Settanta riaffiora nell'esperienza della Casa Laboratorio di Cenci, ad Amelia, in Umbria. Nel 1980, un maestro di scuola elementare d'eccezione, teatrante e scrittore, Franco Lorenzoni, accoglie in questa dimora aperta ai giovani, ad artisti e intellettuali, l'eredità viva del Teatro delle Sorgenti. Sista Bramini vi svolge alcuni laboratori dal 1978 e lì crea, nel 1988, la sua compagnia O Thiasos TeatroNatura, una variazione nominale che sottolinea il continuum natura-cultura del teatro e ne esprime la simbiosi (non solo, quindi, la congiunzione, né tantomeno una dialettica tra termini distinti).
Sista Bramini scopre il Teatro delle Sorgenti di Grotowski nel 1982, nell'occasione delle lezioni universitarie tenute dal maestro alla Sapienza di Roma. Ne segue l'insegnamento a Cenci, dove incontra il colombiano Jairo Cuesta, tra i principali collaboratori del regista polacco. Va in seguito a Volterra, ritrovandone la proposta nelle sperimentazioni del Gruppo L'Avventura, ma è sopratutto con Cuesta che approfondisce la conoscenza del teatro delle Sorgenti. Con lui recita in alcuni spettacoli, prima di provarsi nelle vesti di regista. del Teatro delle Sorgenti esperisce, quindi, le tecniche in prima persona, pratiche sfuggevoli alla descrizione, eppure ancorate su precisi perni, come già ricordato e come ribadisce Sista: in particolare, l'essere drammatiche ed ecologiche, «nel senso umano di questa parola».
- Per 'drammatiche' Grotowski intendeva dire: relazionate all'organismo in azione, all'impulso, all'organicità, possiamo chiamarle 'tecniche dell'azione'. E per 'ecologiche' intendeva che fossero relazionate alle forze della vita, a quello che possiamo chiamare «il mondo vivo».
Provando ad approfondire la comprensione di questa esperienza, Bramini nota la difficoltà di ricostruire una storia che tenga assieme il valore etico personale e quello condiviso della proposta culturale. Li amalgamiamo, rileggendone il percorso, attorno a un'unica tensione etica trasversale, come quell'«insieme di relazioni, intensità e forze» restrittive e affermative che compongono la trama della soggettività: «l'etica è una prassi che prende le mosse dalla produzione di conoscenze», ricercate ora nella percezione incarnata, senza filtri, dell'incontro con la natura.
Nel Teatro delle Fonti, l'esplorazione evolve secondo un approccio pragmatico con cui i partecipanti esplorano, nel silenzio, il proprio essere nel corpo, con gli altri e nell'ambiente aperto e imprevedibile di cielo e terra; le domande di senso restano mute, se non per le intime risposte che ciascuno sa darvi. La studiosa (perché è in questo ruolo che la ritroviamo nel 1995) coincide, perciò, con l'artista e la persona quando, in conclusione a un tentativo di restituzione scritta, chiede:
- Da dove partire per l'individuazione dei punti di connessione reali tra persone di culture diverse che permettano la scoperta di un senso pieno del vivere in una pluralità di esseri umani? Come orientarsi per un rinnovato rapporto con la natura che tenga conto dell'offesa che essa subisce e sia in grado di ascoltare, custodire e fecondare la nascita di una reale coscienza ecologica? Come nutrire il proprio, irripetibile rapporto con la realtà in modo da lasciare aperta, viva e bruciante la domanda sul mistero del senso di essere al mondo?
Un passo dopo l'altro, le domande si rinnovano secondo una via soggettiva e collettiva, cercando risposte nell'organicità del corpo, nell'incontro poetico con i luoghi, nell'affondo nella loro morfologia, nella convivenza con gli esseri che li abitano e, infine, nella ri-territorializzazione simbolica della scrittura scenica, tra luogo, corpo e racconto.
Lo «spazio scenico è anche la mia presenza dotata di corpo», dice Sista Bramini, per ricordare la reattività che si sprigiona nell'adesione mimetica al luogo. alla duttilità necessaria a muoversi nello spazio aperto si arriva con la fatica di esercizi fisici e spirituali di tradizioni affini. Entra il training di Grotowski con l'eredità tramandata dai suoi attori e collaboratori (quali Rena Mirecka ed Ewa Benesz), lo yoga, il metodo Feldenkrais, il canto corale di origine italiana ed est-europea, tra i risuonatori e respiro. Prima che si affaccino i personaggi, la postura educa il corpo sul piano pre-espressivo per avvicinare l'intenzione del gesto all'azione. Anche la camminata insegna la responsività:
- esplorativa, a caccia di luoghi, suoni e scorci;
- silenziosa, in ascolto del luogo e delle variazioni di equilibrio, peso e dinamiche di movimento del corpo lungo lo stesso tragitto più volte ripetuto, in orari diversi del giorno;
- senza meta, continuativa e ritmata per allenare la tenuta dell'attenzione;
- come tecnica personale, svolta dalle attrici per prepararsi all'esibizione:
- del cacciatore, con lo sguardo lontano e la testa che scruta autonomamente dai piedi (liberi dal dominio della vista, mentre il corpo si riallinea al passo, perché ormai flessibile e allenato);
- notturna;
- sulle pietre a piedi nudi. Ascoltarsi e ascoltare diventano i due poli di uno spettro percettivo in cui il corpo è plasmato dall'ambiente fisico e sonoro: cicale, uccelli, fruscii, vento...tutto diventa materia di lavoro.
L'identificazione dei luoghi più idonei a risuonare della narrazione e della ricerca incarnata della regista-performer, che «si pone al cospetto di una montagna, entra in una valle in un bosco, costeggia un sentiero tra i campi, sbuca in un pascolo montano e lo attraversa; teatralmente lo ascolta, lo interroga, lo sollecita» per venirne a sua volta ascoltata, interrogata e sollecitata. Prima a sconfiggerne l'estraneità, ad esplorarne le qualità materiche: dall'alterità di pietre, alberi, suolo e acqua, alla mimesi, le ore di training forgiano la capacità dell'attrice di stare e aderire alle esigenze del luogo, la sua disponibilità ad esserne amica: un 'corpo danzante' si mostra senza codici o virtuosismi.
Quello spazio che l'attore professionista può considerare come un vuoto da riempire, contando sulla propria presenza in sala o sul palco, ora diventa un agente attivo che modella il corpo delle attrici. Prima di essere composto da elementi riconoscibili, come monti, alberi, prati, ecc. il luogo si mostra nelle sue molteplici qualità: è aperto o chiuso, concavo o convesso, friabile o solido, luminoso o buio...le sensazioni anticipano l'affettività e l'emozionalità, producono una reciprocità tra elementi naturali e culturali che, progressivamente, dall'indagine sul livello pre-espressivo muove verso la drammatizzazione: la «struttura teatrale scelta diviene lo strumento vivo «l'organon per agire l'incontro con il luogo».»